La si può visitare da turisti, partire per un week-end o poco più, fare tappa nei musei, il Louvre, l'Orsay, il Rodin...salire sulla Tour Eiffel, entrare a Notre Dame, arrampicarsi per un pomeriggio al Sacré Coeur, comprare cartoline, fare un giro in bateau mouche, stupirsi per l'atmosfera irreale che avvolge alcune vie. Fotografare. Tutto, Tuttissimo. Ogni cosa.
I parigini navigati arricceranno il naso. Eppure chi di loro non ha fatto tutto questo? E' l'ABC quasi inevitabile, il solfeggio preparatore. E' la base di tutto. E' da qui che si inizia ed è cosi' che si decide di tornare.
Oppure la si può studiare da intellettuali, ripercorrere le strade narrate dai filosofi, incantarsi alla Sorbona, scovare collezioni private, esposizioni temporanee, minuscole librerie. Si può perdersi nella zona di Odeon per cercare tomi antichi, passeggiare nel Marais e nel getto ebraico, respirare al Pantheon la scienza che un tempo fu ed impregnarsi di ogni cosa.
O la si può assaporare da innamorati, sedersi ai caffé per la colazione, al tepore del sole primaverile, lasciarsi tentare dal profumo delle crèpes appena imburrate, sorseggiare calici di vino francese, affacciati sulle mille luci della citta, che cambia aspetto la sera e sentirne la magia.
La si può conoscere da studenti, partire per l'Erasmus e scoprirla piano-piano, quasi per caso, per accidente, tra le altre mille cose da fare. Ritrovarsi a studiare ogni pomeriggio ai giardini del Lussemburgo, organizzare cene internazionali ogni sera, mancare la sveglia ogni mattina seguente e imparare ad amare venti metri quadri e sei piani di scale.
O la si può vivere. E per viverla bisogna assolutamente dimenticare ogni distinzione fatta sopra, bisogna respirarla, assorbirla, sentirla correre dentro, come il sangue nelle vene, come i sogni, come le passioni. Bisogna amare ogni ciottolo di strada, consumare la cartina del metrò, rientrare ai piedi da soli la sera, fermarsi sul pont des Arts e contemplare le luci riflesse sulla Senna. Bisogna sfondare le tasche con i libri di Sartre e i tacchi per aver corso troppo. Bisogna prendere aperitivi in Place des Vosges, abituarsi ai tavoli zoppi delle terrazze più antiche, conoscere i negozi di Vintage nascosti nelle vie poco note, ricordare i digicode dei portoni che si e' abituati a frequentare. Bisogna salutare i clochard del quartiere, capire che ore sono, al mattino, dal profumo dei croissants appena sfornati, bisogna trascorrere serate a discutere in rue Saint Jaques, davanti al val de Grâce, per nessun motivo e andare al Louvre, solo per veder accendersi i lampioni della Place Carrée al tramonto, ritrovarsi nelle cantine in cui si suona il Jazz, perdere il sonno e la fame, come quando si e' innamorati. E accettare di non poter mai prescindere da ciò che si è vissuto.
Nel menu sulla destra, trovate tutto questo e molto, moltissimo altro.
Buon viaggio.
I parigini navigati arricceranno il naso. Eppure chi di loro non ha fatto tutto questo? E' l'ABC quasi inevitabile, il solfeggio preparatore. E' la base di tutto. E' da qui che si inizia ed è cosi' che si decide di tornare.
Oppure la si può studiare da intellettuali, ripercorrere le strade narrate dai filosofi, incantarsi alla Sorbona, scovare collezioni private, esposizioni temporanee, minuscole librerie. Si può perdersi nella zona di Odeon per cercare tomi antichi, passeggiare nel Marais e nel getto ebraico, respirare al Pantheon la scienza che un tempo fu ed impregnarsi di ogni cosa.
O la si può assaporare da innamorati, sedersi ai caffé per la colazione, al tepore del sole primaverile, lasciarsi tentare dal profumo delle crèpes appena imburrate, sorseggiare calici di vino francese, affacciati sulle mille luci della citta, che cambia aspetto la sera e sentirne la magia.
La si può conoscere da studenti, partire per l'Erasmus e scoprirla piano-piano, quasi per caso, per accidente, tra le altre mille cose da fare. Ritrovarsi a studiare ogni pomeriggio ai giardini del Lussemburgo, organizzare cene internazionali ogni sera, mancare la sveglia ogni mattina seguente e imparare ad amare venti metri quadri e sei piani di scale.
O la si può vivere. E per viverla bisogna assolutamente dimenticare ogni distinzione fatta sopra, bisogna respirarla, assorbirla, sentirla correre dentro, come il sangue nelle vene, come i sogni, come le passioni. Bisogna amare ogni ciottolo di strada, consumare la cartina del metrò, rientrare ai piedi da soli la sera, fermarsi sul pont des Arts e contemplare le luci riflesse sulla Senna. Bisogna sfondare le tasche con i libri di Sartre e i tacchi per aver corso troppo. Bisogna prendere aperitivi in Place des Vosges, abituarsi ai tavoli zoppi delle terrazze più antiche, conoscere i negozi di Vintage nascosti nelle vie poco note, ricordare i digicode dei portoni che si e' abituati a frequentare. Bisogna salutare i clochard del quartiere, capire che ore sono, al mattino, dal profumo dei croissants appena sfornati, bisogna trascorrere serate a discutere in rue Saint Jaques, davanti al val de Grâce, per nessun motivo e andare al Louvre, solo per veder accendersi i lampioni della Place Carrée al tramonto, ritrovarsi nelle cantine in cui si suona il Jazz, perdere il sonno e la fame, come quando si e' innamorati. E accettare di non poter mai prescindere da ciò che si è vissuto.
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Buon viaggio.